Michela Greco/Cinecittànews

“Ho incontrato Lisetta Carmi a Ravenna nel febbraio del 2009 in occasione di una sua mostra di fotografie. Qualche mese dopo lei ha sentito una mia intervista in radio, si è ritrovata nelle cose che dicevo e mi ha scritto una lettera. Ci siamo incontrati ed è 'nato un amore'. Da allora non ci siamo più lasciati”. E' il romantico resoconto di Daniele Segre sulla nascita del documentario Lisetta Carmi, un'anima in cammino, che passa in anteprima mondiale alle Giornate degli Autori svelando una donna, oggi 86enne, dagli occhi brillanti e curiosi, e un'artista che ha saputo raccontare all'Italia e al mondo squarci di realtà che in molti, allora, non erano preparati a vedere.

Come nel caso della straordinaria serie fotografica sui travestiti realizzata negli anni '60, che con estrema sensibilità aprì una finestra su un mondo sconosciuto e poi rifiutato, tanto che i librai spesso nascondevano le copie del libro che ne era nato. “Conoscevo il suo lavoro sui travestiti almeno da quando, nel 1984, avevo girato Vite di ballatoio, presentato al festival di Bellaria e poi di Berlino, che verteva sullo stesso argomento – spiega Segre – In soli quattro giorni di interviste serrate ho esplorato Lisetta Carmi come fotografa, come artista e come donna. Una figura rivoluzionaria rispetto alla sua epoca ma anche rispetto alla nostra, che purtroppo qualche anno fa ha deciso di abbandonare la fotografia perché ormai aveva trovato l'equilibrio che prima cercava attraverso il filtro della macchina fotografica”.

In Lisetta Carmi, un'anima in cammino, quindi, la fotografa si racconta, rievoca la sua vita e la sua arte, il periodo in cui le fu permesso di entrare nel mondo dei travestiti e conquistare la loro fiducia, l'incontro folgorante con Ezra Pound, lo sguardo sui portuali di Genova. “Cinquant'anni fa era scabroso che si mostrassero certe cose, e il fatto che a svelarle fosse una donna era addirittura fuori dal mondo. E' stata una rivoluzionaria, sempre all'avanguardia, di stimolo per molti giovani”, commenta il regista, che ha appena concluso il montaggio di un documentario sull'amico Morando Morandini che s'intitolerà Je m'appelle Morando.

Iniziato addirittura nel 2005, quando i due dirigevano il festival di Bellaria con Antonio Costa, il film sarà un ritratto del critico e dell'uomo ma anche un'opera sul cinema – in cui Morandini segnalerà i migliori film del decennio dagli anni '20 al 2000 – con commenti sull'Italia e sul giornalismo del nostro paese. Intanto Daniele Segre si gode l'anteprima veneziana, pur con un certo rammarico. “La gestione Muller ha rifiutato tutti i film che gli ho proposto. Credo di essere inviso alla sinistra da quando girai Via Due Macelli, Italia sinistra senza Unità sulla chiusura del quotidiano – ha detto durante l'incontro alla Villa degli Autori – Ma ora essere qui alle Giornate degli Autori è per me un'occasione importantissima”.